novembre 2014 ~ Ladri Di VHS

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sabato 29 novembre 2014

PREDESTINATION

 

Regia: Michael e Peter Spierig
Origine: Australia
Anno: 2014
Durata: 97'
Attori protagonisti: Ethan Hawke, Sarah Snook

Prendete carta e penna e sedetevi. Scrivete su un foglio “La frase scritta dietro è vera”, girate il foglio sulla faccia opposta e scrivete “La frase scritta dietro è falsa”. Date l’oggetto eterno così costruito a un vostro malcapitato conoscente. Sono passati circa sei anni da quando mi è stato fatto questo giochino ma mi torna affettuosamente in mente tutte le volte che mi trovo a vedere un film o leggere una storia sui viaggi nel tempo. Tra i film della mia infanzia c’è ovviamente la trilogia di Back To The Future ma la questione “paradossi & affini” è sempre stata una tematica che mi ha incuriosito. Per questo, in sostanza, sull’argomento non sono puntiglioso. Sono proprio un rompiscatole.


Predestination è il nuovo film dei fratelli Spierig basato su —All You Zombies— di Robert A. Heinlein che, per chi non avesse avuto la fortuna di incappare nella collana Urania, è stato tra gli autori di fantascienza più rilevanti della sua epoca (insieme a P.K.Dick, Asimov, Bradbury, Ballard e qualcuno che mi sono perso per strada), il cui immaginario era già finito sul grande schermo con Starship Troopers.


Se il titolo non vi ha già detto tutto della trama facendovi pensare al Paradosso Della Predestinazione, tanto meglio, riuscirete a godere meglio di un film ben scritto che si svelerà poco per volta riuscendo a catturare sicuramente la vostra attenzione. In caso contrario, sappiate che chi recensisce odia gli spoiler come la peste, quindi potete stare sereni. Il film racconta la storia di un barista e di una cliente che si incontrano al bancone, fanno due chiacchiere informali e poi fanno una scommessa. “Ti racconterò la storia più incredibile che tu abbia mai sentito” dice la donna. Se avrà ragione vincerà una bottiglia di whiskey single malt, in caso contrario darà venti pezzi di mancia. È con questo artificio che andiamo alla scoperta della vita del protagonista attraverso varie epoche.


Un film molto curato in ogni dettaglio. Dai dialoghi, tanto precisi quanto svianti al punto giusto, alle ambientazioni che riescono a ricreare perfettamente le varie epoche della narrazione, nel vestiario, nell’arredamento, in maniera fedele. Ethan Hawke si riconferma su livelli alti dopo aver definitivamente svestito i panni di Jesse della Before Trilogy di Linklater e duetta perfettamente con la bella (lei nel film dice di no, io dico di sì) Sarah Snook che pur essendo alle prime esperienze fa un’ottima prova. Un film che vale la pena vedere, ottima sorpresa dall’Australia che speriamo possa arrivare presto anche nei nostri cinema.


Fine della recensione, seguono S P O I L E R ed elucubrazioni mentali. Per proseguire premere il pulsante qui sotto.







Ingmar Bèrghem

venerdì 28 novembre 2014

FILTH

 
Regia: Jon S. Baird
Origine: UK
Anno: 2013
Durata: 97'
Attori protagonisti: James McAvoy

Filth, uscito l’anno scorso in UK, annunciato per quest’anno col titolo Il Lercio in Italia, nessuno sa quando verrà realmente distribuito in questo Paese di ritardatari. Quindi chissenefrega, noi lo recensiamo e voi lo recuperate, che altrimenti va a finire come per Mr. Nobody di Jaco Van Dormael che “sta arrivando” dal 2009.


Per la quarta volta dal 1996, da Trainspotting, la Edimburgo malata descritta dalla penna di Irvine Welsh finisce sul grande schermo. Il soggetto è dello stesso Welsh che però si allontana volutamente di qualche passo dalla trama originale, probabilmente per una migliore resa cinematografica e per evitare problemi di censura. Non fate però l’errore di credere che sia un film tirato a lucido per diventare una commedia per famiglie. Filth è un film sporco, a tratti fortemente grottesco e immensamente bastardo che riesce a cambiare tono continuamente, mettendo a disagio lo spettatore, facendo provare disgusto o compassione per quel personaggio che cinque minuti prima aveva suscitato ilarità.


Il protagonista è Bruce "Robbo" Robertson, un sergente di polizia che incarna il peggio del peggio, interpretato da un fantastico James McAvoy. Cocaina, whiskey, film porno e violenza gratuita sono solo alcuni degli hobby del sergente Robbo che farà di tutto per ricevere la promozione che a suo dire risolverà ogni problema. E quando dico “tutto” intendo veramente ogni cosa. Ogni altro pretendente alla promozione sarà manipolato nella maniera più subdola possibile e messo fuori gioco.


Tutto questo accade durante le indagini per l’omicidio di un cinese da parte di alcuni teppisti locali. Il protagonista, armato praticamente solo della sua bastardaggine, in poco tempo individuerà i colpevoli ma per una serie di intrecci il caso gli sarà tolto per essere affidato a una sua collega. È a questo punto che la commedia lascia spazio al dramma e il personaggio spaccone e divertente si eclissa mostrando una persona malata e sola che ha trovato rifugio nel vizio.


Un film delirante con sequenze oniriche da stato allucinatorio, esagerato, a tratti caricaturale. Un personaggio estremamente sfaccettato che ha coscienza di essere l’unico vero protagonista della storia, che si concede il lusso di ammiccare allo spettatore guardando in camera senza far sembrare ciò un’esagerazione. Un personaggio interpretato in maniera eccellente da McAvoy che ha portato a casa il premio come miglior attore al British Independent Film Awards, al London Critics Circle Film Awards e agli Empire Awards. Divertente, amaro, lascia spazio a più di una riflessione e sicuramente non piacerà a tutti ma assolutamente da vedere. Chi ha letto il libro sarà magari deluso dal fatto che la storia sia stata un po’ stravolta ma questo è un film che si regge esclusivamente sul suo protagonista più che sugli sviluppi della trama e dato che, come già detto, la caratterizzazione di Robbo è stata eccellente, non c’è motivo di dispiacersi.




Ingmar Bèrghem

lunedì 24 novembre 2014

DRACULA UNTOLD

 

Regia: Gary Shore
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 92'
Attori protagonisti: Luke Evans, Sarah Gadon, Charles Dance

Avete presente Bram Stoker's Dracula di Francis Ford Coppola, con un Gary Oldman troppo figo che non aveva ancora vestito i panni di Sirius Black e del commissario Gordon? Ecco, custodite questo gran film con gelosia in un angolo della vostra memoria perché Dracula Untold è totalmente un’altra cosa. Anzi facciamo che il confronto tra le due pellicole finisce qui perché sparare sulla Croce Rossa non è carino.


Questa pellicola inaugura il reboot del Monster Universe da parte di Universal Pictures. Quindi tenetevi pronti (?) a rivedere sul grande schermo Frankenstein, la Mummia, l’Uomo Invisibile, l’Uomo Lupo e altri “mostri” solo perché Universal non ha i diritti su nessun personaggio dei fumetti (a parte Namor. Ecco, appunto). Fare il confronto con film che sono stati capisaldi/parola-con-la-C di un genere sarebbe impietoso quindi evitiamo pure di accennare al Nosferatu di Murnau e già che ci siamo: mannaggia a Herzog e quando l’ha ripreso.


Dracula Untold vorrebbe non soltanto riprendere la storia del conte Vlad dal punto di vista storico ma anche riscriverla dal punto di vista cinematografico, facendo un film che vada bene per grandi e piccini, con un Dracula marito buono e padre amorevole, il tutto senza versare una goccia di sangue. E magari ci buttiamo dentro pure un’eterna lotta tra bene e male qua e là che non fa mai male. A quanto pare a nessuno è venuto in mente che forse si stavano facendo prendere troppo la mano.


Il risultato è un giocattolone ma di quelli che funziona male. Più simile come meccanismi a un film su Superman che altro, con la scoperta dell’invincibilità e dei propri punti deboli, il sacrificio per il proprio popolo, l’amore per la propria donna e un sacco di altre cose abbastanza fuori luogo in una storia su questo personaggio. Sempre meglio di Man Of Steel, sia chiaro. Ma quello non è catalogabile nemmeno come film, Dracula avrebbe salvato cane, padre, paese, uragano e poi sarebbe tornato a combattere il Maometto con l’eyeliner di questa storia.


Dal punto di vista visivo e degli effetti speciali abbiamo duecento milioni di miliardi di tonnellate di computer grafica che servono sostanzialmente per far comandare a Dracula i pipistrelli in battaglia. Cosa che fa un po’ ridere soprattutto quando lo stormo di topi volanti assume la forma della mano di Vlad. Credo che a chiunque siano venuti in mente i cartoni di Tom & Jerry con le api che prendono la forma di martelli giganti, mani che afferrano e cose del genere. Non si può non ridere. Stupide cazzatone insensate ma realistiche, per farla breve.


In sostanza il film parte con delle ambizioni a dir poco enormi (e poi vi lamentate di Interstellar?) senza riuscire a centrare neanche uno dei mille obbiettivi. Il risultato è un prodotto diretto male, scritto peggio e interpretato... No, bisogna ammetterlo, l’interpretazione di Luke Evans è molto buona e Sarah Gadon (che sarebbe Mirena, la moglie di Vlad) fa il suo riuscendo a caratterizzare decentemente un personaggio che lo sceneggiatore ha messo lì quasi come incidentale per giustificare certe scene. In conclusione, un film davvero evitabile. Però le armature sono belle.





Ingmar Bèrghem

martedì 18 novembre 2014

INTERSTELLAR


Regia: Christopher Nolan
Origine: USA 
Anno: 2014
Durata: 169'
Attori protagonisti: Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Casey Affleck

Sì, lo so che su Interstellar ne avete sentite di cotte e di crude, che non si parla d’altro, tra chi lo innalza a capolavoro assoluto del genere e a chi lo boccia a prescindere. So anche, e soprattutto, di non essere d’accordo con nessuna della due tifoserie, anche perché Interstellar è sicuramente un film imperfetto, ma allo stesso tempo molto affascinante e audace (che di questi tempi non fa mai male). E fa ridere che per cercare di smontarlo si tenti di fare perizie minuziose su quanto siano attendibili o meno le tesi scientifiche che sono disseminate in tutta la pellicola. Fondamentalmente, cosa vi sfugge della parola Fantascienza? Con ragionamenti simili praticamente ogni film di questo genere dovrebbe essere una cagata, e per fortuna così non è.


Il film è incentrato sulla figura di Cooper, interpretato da un gran Matthew McConaughey, padre di famiglia che vive insieme ai suoi figli in questa fattoria che risente delle condizioni critiche in cui versa il pianeta Terra: il grano non si produce più e di lì a poco la stessa sorte toccherà al mais. L’uomo va incontro all’estinzione, insomma. Per una serie di circostanze misteriose, il protagonista, da ingegnere e da ex pilota militare, si ritroverà a capo di una spedizione finanziata dalla NASA (ormai diventata una vera e propria società segreta, vista la diffidenza dell’umanità, che come abbiamo già detto versa in condizioni agricole disastrose, in progetti interspaziali come questo) volta a trovare nuovi pianeti su cui far emigrare le persone della Terra costrette a un’esistenza al limite dell’apocalittico. Da qui nasce la profonda frattura tra Cooper e la figlia, che non gli perdonerà di aver accettato di far parte di una missione pericolosissima che rischierà di allontanarli per sempre.


Il tema importante del film, al di là di tutte le divagazioni scientifiche, è il viaggio, o meglio ancora la scoperta. Il sondare aspetti della propria personalità spinti al limite, in un contesto beffardamente tranquillo e soave, in cui il tempo è tiranno in tutti i sensi, in cui si entra in empatia con le altre persone coinvolte in questo straordinario viaggio. Nolan decide di optare spesso per un sguardo documentaristico, volutamente “sporco” oserei dire, che dà forza visiva al film, completamente fuori da certe patine stilistiche adottate da altri film del genere usciti negli ultimi anni. Si sono sprecati paragoni tra questo film e l’opera massima di quel signorino che fu Stanley Kubrick, vale a dire 2001: Odissea nello spazio. È un paragone un po’ forzato, visto che sono due film che inevitabilmente, anche involontariamente, si toccano ma che proseguono nel loro discorso in maniera totalmente differente. Più che altro è il paragone con Incontri ravvicinati del terzo tipo (Steven Spielberg, 1977) che mi sembra più calzante, in cui la curiosità, e a tratti anche la morbosità, verso l’ignoto e il misterioso sono la spina dorsale dei due lungometraggi (tant’è che finali dei due film corrono più o meno nella stessa direzione). Parliamo sempre di padri di famiglia che lasciano tutto, pur di seguire un’idea. È un peccato perciò quando Interstellar scade in facili e patetici sentimentalismi in alcuni dialoghi della Hathaway, che sembrano usciti fuori da tutt’altro film, visto anche il modo delicato, umano e commovente con cui Nolan, al contrario, ci abitua trattando dello splendido rapporto tra Cooper e Murph, vale a dire la figlia. Un rapporto sovvertito da un tempo che darà vita a una scena intensissima in cui padre e figlia (interpretata da adulta da una sempre splendida e bravissima Jessica Chastain, di cui io e Isaia Panduri siamo vergognosamente innamorati) si guarderanno da uno schermo avendo la stessa età. 


Lo spettacolo vero e proprio Nolan ce lo riserva nel finale, in cui il coinvolgimento è pressoché totale e in cui il mistero delle leggi che regolano il mondo sembra più facile di quello che è, ricordando anche il racconto La lettera trafugata di Edgar Allan Poe, dove si cerca, si smania per trovare qualcosa, per abbattere quei “fantasmi” che alla fine siamo noi e solo noi possiamo affrontare. Tutto l’ingresso di Cooper nel buco nero è intensissimo, visivamente affascinante, e siamo lì con lui e come lui facciamo esperienza di questo luogo misterioso, che ci si presenta però come un vero e proprio libro aperto, che fa da teatro al definitivo passaggio di testimone tra padre e figlia. E poi? Poi la passione, l’amore per qualcosa, l’amore in generale, spinge Cooper verso il non-conosciuto, ancora una volta, in barba a chi ci ha insegnato a guardare nel fango e a non alzare più la testa.


Martin Scortese


venerdì 14 novembre 2014

FRANK



Regia: Lenny Abrahamson
Origine: Regno Unito, Irlanda
Anno: 2014
Durata: 95'
Attori protagonisti: Michael Fassbender, Domhnall Gleeson, Maggie Gyllenhaal, Scott McNairy

Jon è un giovane musicista in cerca di ispirazione, incapace di partorire una sola idea buona. In suo soccorso arrivano gli Soronprfbs, band che propone un revival post-punk dark (?) capitanata da Frank. Un misterioso e istrionico cantante mascherato. Jon prendendo parte alle registrazioni del nuovo album scopre che il gruppo è qualcosa di più simile a una comunità per ragazzi mentalmente instabili autogestita. Ogni membro sembra covare dentro un disagio con cui solo suonando assieme è possibile convivere.


Ma tanti se non troppi sono i temi che Frank tira fuori. Dalla crisi creativa alla difficoltà di poter concretizzare l'idea che si avverte nascere dentro di sé. Dalla composizione, le prove, la registrazione alla promozione (con annessa riflessione sul ruolo del web e dei festival indie nella promozione musicale). Il film fortunatamente non è un'investigazione sull'attuale scena americana e affida a questi temi più il ruolo di aneddoto. La musica è un dato di fatto. Un pretesto attorno al quale ruota la vera storia di Frank e della sua band.


Sono altre le questioni che il film riesce a mettere a fuoco. La musica come condivisione senza nessuno spirito velleitario e la naturale ricerca in ognuno di noi di un mentore. La band impedisce al protagonista di svendere la propria musica non per una questione di integrità ma per paura che il compromesso pop rischi di rovinare la purezza della cura compromettendone l'efficacia. Lo scontro tra le due parti, quella della “svolta pop” e quella indie (che più indie non si può) è l'estrema conseguenza dello scontro tra il banale e l'eccentrico (anche se a dire il vero si tratta di un immaginario eccentrico più che collaudato) e in definitiva di questo scontro vive il film.


Un po' ruffiano nel citare esplicitamente i vari social network (fa riflettere il modo in cui la voce fuoricampo-diario venga  sostituita da quella fuoricampo-social network, molto più ipocrita), fa anche commuovere parlando d'amicizia, di morte e di arte. Intelligente l'uso della musica. I tentativi, gli errori, i feedback e i fallimenti mettono in ombra le canzoni facendoci capire davvero quello che è il lavoro del musicista. Frank dice molto su quanto sia importante la musica nelle vite di molti e quanto una passione possa alla fine salvarci la vita.


Isaia Panduri






lunedì 10 novembre 2014

CALVARY


Regia: John Michael McDonagh
Origine: USA/UK
Anno: 2014
Durata: 101'
Attori protagonisti: Brendan Gleeson, Kelly Reilly

Durante una confessione il prete cattolico James Lavalle viene a conoscenza che un suo parrocchiano anni prima è stato abusato e adesso è in cerca vendetta, non contro l'autore della violenza bensi proprio contro di lui, uomo e religioso retto e onesto. Inizia così la sua ultima settimana di vita, il calvario, per sistemare i conti lasciati in sospeso.

 

Il film riesce ad affrontare l'arrivo della morte con leggerezza e senza facili moralismi. Non è un film sui preti pedofili, per quanto questo sia un tema molto sentito in Irlanda. Nemmeno sulla morte ma sul mondo di affrontarla. Siamo di fronte a un film che emoziona senza sfruttare i soliti luoghi comuni ma raccontando la vita, i dubbi e gli errori suoi e di un'intera comunità.


Nella pellicola si ritrovano ancora insieme McDonagh e Gleeson dopo l'ottima commedia The Guard. E nuovamente si ritrova la stessa intesa tra i due. Il regista lascia carta bianca al grandissimo attore irlandese e ne viene ripagato da una interpretazione davvero di spessore. Il tutto supportato da un cast in ottima forma e con ottima caratterizzazione dei personaggi. Se si aggiungono paesaggi mozzafiato il puzzle è completo.



Quest'opera cinematografica è la dimostrazione di come quest'arte non abbia bisogno di milioni di budget, riprese complesse e tecniche incredibili ma “solo” di buone idee e ottimi attori. Decisamente consigliata la sua visione.







Al Barbone

giovedì 6 novembre 2014

THE JUDGE


Regia: David Dobkin
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 142'
Attori protagonisti: Robert Downey Jr., Robert Duvall

Robert Downey Jr. sveste l’armatura di Ironman per interpretare Henry “Hank” Palmer, un avvocato di successo dalla morale molto discutibile e dal passato turbolento. Allora perché The Judge? Il giudice, interpretato da Robert Duvall, è il padre di Hank. Un giudice di una piccola cittadina dell’Indiana, uno di quelli dalla morale impeccabile, totalmente agli antipodi da quella del figlio.


La storia è delle più classiche, padre e figlio in conflitto da anni si ritrovano di nuovo a confronto rivivendo vecchi dissapori, rinfacciandosi a vicenda le proprie mancanze. Il tutto muovendosi all’interno dell’aula di tribunale un tempo presieduta ogni giorno dal padre, questa volta sotto processo. Riuscirà il nostro avvocato impertinente a salvare il padre da una pesante accusa e a ricucire con lui un rapporto che non esiste da anni? Beh la risposta, fortunatamente, non è così banale.


È quasi inutile dirlo ma il film fa perno sull’interpretazione di RDJ in maniera sfacciata. Mentre però il confine tra l’attore e Tony Stark è andato via via sparendo nella saga Marvel, quasi sostituendo Tony Stark col vero RDJ, in questo caso possiamo dire che il personaggio dell’avvocato Palmer è stato cucito addosso all’attore come un abito di sartoria. Un passato fatto di bravate, piccoli problemi con la legge, alcol e droghe, la riabilitazione fino al successo... Suona familiare, vero?


Il personaggio di Duvall invece dà la possibilità di vedere un altro spaccato, quello dell’anzianità e dei problemi di salute che si porta dietro insieme ai capelli bianchi. Bravo Duvall e bravo ancora una volta Robert Downey Jr. che dimostra che quando tocca fare i seri su argomenti delicati riesce anche a non cazzeggiare, cosa che fa comunque in diversi punti della storia riuscendo a far sorridere, cosa però probabilmente non necessaria in un contesto del genere.


Più di due ore di film che scorrono facilmente senza infamia né lode. La critica ha quasi stroncato la pellicola, il pubblico sembra che abbia un’idea più positiva. Probabilmente se RDJ facesse meno l’RDJ in ogni suo ruolo avremmo visto un film decisamente migliore ma il risultato resta comunque buono. In conclusione, se siete dei fan del protagonista vi piacerà molto, se non lo sopportate lo odierete. Guardandolo in maniera pseudo oggettiva resta un buon film drammatico con delle note di humour eccessivamente accentuate. Se per volere del protagonista, del regista o della produzione non è dato saperlo ma qualora si tratti di un’idea per sfruttare il “momento RDJ” non è stata probabilmente una gran trovata.





Ingmar Bèrghem

lunedì 3 novembre 2014

STARRED UP


Regia: David Mackenzie
Origine: UK
Anno: 2013
Durata: 106'
Attori protagonisti: Jack O'Connell, Ben Mendelsohn, Rupert Friend

Sono un amante dei programmi ambientati in carcere, penso di averli visti tutti da Lockup a Carcere Duro, sarà che l'essere un ascoltatore di hip hop mi fa immedesimare meglio con i miei beniamini e mi fa capire le sofferenze che hanno subito. Indirettamente posso dire di avere il carcere nel sangue avendo avuto parenti finiti al gabbio. Il passo successivo sarà finirci io direttamente e fare una recensione sull'esperienza.



La prigione è un tema che ha affascinato un sacco di registi e ha ispirato un mucchio di sceneggiatori. Un lato di noi sono convinto che invidi il coraggio dei criminali di sovvertire le regole e fare quel cazzo che vogliono, noi con la fedina pulita alla fine siamo solo dei cagasotto e nel peggiore dei casi dei leoni da tastiera.

Il cinema ci ha dato visioni diverse dell'ambiente carcerario, facendoci scoprire come se la vivevano i mafiosi tramite Quei Bravi Ragazzi, come se la viveva Pelè a dribblare i nazisti con l'aiuto di Rocky in porta con Fuga Per La Vittoria, che rapporto possono avere un omosessuale e un rivoluzionario marxista compagni di cella ne Il Bacio Della Donna Ragno e cosa pensano le galline recluse nei loro recinti con Galline In Fuga.

Starred Up invece porta il genere sul lato famigliare. Eric, interpretato dalla futura star Jack O' Connell, è un ragazzo di diciannove anni, violento e turbolento, dentro presumibilmente per aver picchiato una ragazza. In prigione avrà come collega suo padre Nev (Ben Mendelsohn) e capiremo subito che Eric il carattere non lo ha sicuramente preso dalla madre.
La vera figura paterna per il protagonista sarà Mr. Baumer (Rupert Friend), terapeuta volontario, che cercherà in tutti i modi di aiutarlo, rivedendosi in lui e rivedendo il suo odio verso l'umanità.
Il resto della trama segue i classici step del genere, quindi tensione tra detenuti, secondini corrotti, boss da rispettare, scene in palestra e violenti risse che vedono Eric sempre in prima linea.

Il padre cerca di far capire l'errore al figlio
Starred Up, girato in due vere prigioni dell'Irlanda del Nord e sceneggiato da Jonathan Asser che riporta la sua esperienza di terapeuta carcerario, tiene incollati allo schermo: le vicende di Eric appassionano e il rapporto con il padre è puro conflitto, visti i due caratteri antisociali. Una storia degna di una tragedia greca, che in un ambiente così ghettizzante porta solo a esplodere, uno contro l'altro: Nev rimprovera ogni istante il figlio, anche per colpa della gelosia verso gli altri detenuti, e Eric sfoga diciannove anni di frustrazioni e assenze, anche dopo l'essere stato abusato in istituto da piccolo.

Guarda non dirlo a me
Tutta questa rabbia è un petardo che finisce per sfigurare entrambi ma entrambi ne usciranno più forti, perchè loro sono i primi a sapere che nel gioco, nel sistema e nella vita le botte oltre che darle si ricevono e se ne prendono sempre il doppio.


David Mackenzie riesce a portare sullo schermo una storia di straniamento senza cadere in patetici sentimentalismi, unendo claustrofobia, sofferenza, tensione e un pizzico d'amore nel migliore dei modi.
Le ultime righe vorrei spenderle per O'Connell che è l'attrazione principale della pellicola, eseguendo una interpretazione perfetta, una delle migliori del 2014, prestazione di rara potenza e coinvolgimento, sembra quasi che abbia vissuto gran parte della sua vita a suon di cinghiate e risse, pura energia.





Endrio Manicone

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