aprile 2014 ~ Ladri Di VHS

66° Berlin International Film Festival

A Berlino dall'11 al 21 Febbraio 2016.

69° Festival de Cannes

A Cannes dall'11 al 22 Maggio 2016.

73° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica

A Venezia dal 31 Agosto al 10 Settembre 2016

martedì 15 aprile 2014

MUZE [APP PER CINEFILI]

Muze è la nuova applicazione che farà felici cinefili e non. Perché? E’ semplice, grazie a questa app, scaricabile gratuitamente da qualsiasi smartphone, potrete dare un voto da 1 a 5 ai film che avete visto. In questo modo, automaticamente, l’app vi indirizzerà, a seconda dei vostri voti, ad altri film che potreste vedere. Utilissima quindi per chi vuole ampliare la propria cultura cinematografica. Io per esempio ho scoperto di non avere mai visto AlbaKiara, una mancanza davvero inaccettabile per una persona che gestisce un blog di cinema. Che aspettate allora? Scaricatelo, altrimenti vi mandiamo Umberto Smaila per un balletto privato da capogiro (nel senso che rimetterete anche il cenone di Capodanno 1998).


http://www.MuzeApp.com
 

Nasce la partnership tra Muze e Ladri Di VHS, conquisteremo il mondo.


lunedì 14 aprile 2014

THE GRAND BUDAPEST HOTEL


Regia: Wes Anderson
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 99'
Attori protagonisti: Ralph Fiennes, Tony Revolori, F. Murray Abraham, Jude Law, Saoirse Ronan, Edward Norton, Willem Defoe, Adrien Brody, Bill Murray, Harvey Keitel

10 aprile. Penso che finalmente è uscito il nuovo lungometraggio di Wes Anderson. Subito controllo gli orari del cinema su internet e niente. Cioè proprio niente. Nessun cinema della mia zona passava questo film (Al Barbone avrebbe detto “meno male zio”). Panico totale. Ho cercato di recuperare il recuparabile di Anderson nei giorni precedenti, quindi ero carichissimo. E invece niente. Panico. Divento apatico per tutta la giornata, cerco appigli, pregusto il post-modernismo asciutto con tanto di fossantani con scappellamento a sinistra. Neanche Lo Sgargabonzi riesce a tirarmi su. Però, aspetto un giorno e magicamente un cinema mi sorprende, e espone la locandina di questo film. La sera stessa vado e mi sono gustato un gran lavoro. E voi potreste benissimo chiedervi “che bisogno c’era di fare questa supercazzola per dirci che hai aspettato un giorno per un film?”. Nessuno, ma questo è il bello di Internet.

Il conte Mascetti è fiero di me.

Ora facciamo i seri. Anderson è un regista che mi è sempre piaciuto, per la sua capacità di creare dei microcosmi sfaccettati e curati, e farti entrare in sintonia con quasi tutti i personaggi. Il tutto con estrema semplicità narrativa e di intenti, con una forte impronta personale, data da scenografie sempre bellissime e a tratti surreali, un gusto incredibile per la simmetria e una grande bravura nel creare personaggi che rimangano un po’ nell’immaginario. Penso ad esempio ai I Tenenbaum, un film ricco di personaggi memorabili. Penso a Max Fischer di Rushmore, a Steve Zissou e ai tre fratelli in viaggio nel Darjeeling Limited. Penso che Anderson per me è un grande, in fin dei conti. Ma parliamo del suo Grand Budapest Hotel, vincitore, tra l’altro, del Premio della giuria nell’ultima edizione del Festival di Berlino. La trama è semplice [cit.], e mi avvarrò di Wikipedia per spiegarla in 2 secondi e soffermarmi poi sugli aspetti più riusciti del film: “Nell'Europa di inizio Novecento, Gustave H, un concierge che lavora in un leggendario Hotel dell'immaginaria Repubblica di Zubrowka, diventa amico di uno dei suoi collaboratori più giovani, Zero Moustafa, il quale crescerà fino a diventare il suo protetto. La storia coinvolge il furto e il recupero di un dipinto rinascimentale inestimabile e la battaglia per un enorme patrimonio di famiglia.” 


Lasciando un attimo da parte il cast di altissimo livello, innanzitutto la messa in scena è spettacolare. Da questo punto di vista Anderson si rinnova di film in film, con una maturazione estetica via via più evidente e sorprendente, con un’impostazione quasi teatrale ma al tempo stesso di grande respiro. Lungi da me fare paragoni azzardati, se non di più, ma per la forza visiva di alcune scene nei corridoi di questo hotel pensavo che a un certo punto si sarebbero palesati di fronte a me Jack Torrance e due gemelle trucidate sul pavimento. Il bello del cinema e delle pippe mentali insomma. Per non parlare dei personaggi che popolano questo zoo andersoniano, che sono tutti pezzi che vanno a comporre questo puzzle a tratti delirante, fintamente ingenuo o ottimista, ma che racchiude in sé una malinconia che sembra passare in sordina, ma così non è. Così non è mai, almeno per me, nei film di Wes (ti do del Tu cavissimo, spevo mi pevdonevai).



Gli attori funzionano tutti, dal nevrotico Ralph Fiennes con un prova davvero convincente alla sempre più camaleontica Tilda Swinton (penso anche a Snowpiercer), dal nostalgico Murray Abraham allo scrittore interpretato da Jude Law, il quale prende le sembianze di Tom Wilkinson più in là con gli anni, e che è/sono il/i motore/i di tutta la narrazione, che funziona alla grande e gira attorno alla vita di Gustave H, accusato ingiustamente di omicidio, catalizzatore di tanti avvenimenti che si susseguono freneticamente. Come non parlare poi dei due baldi giovani, protagonisti di una storia d’amore frettolosa ma pura come i due innamoratini di Moonrise Kingdom. L’amore ai tempi di Wes Anderson. Un amore senza troppi giri di parole. Oppure del malefico Willem Dafoe; vorrei dire, immaginatevi questo Dafoe senza capelli e avrete un Nosferatu versione 2(denti).0. Ed è qui, però, col personaggio appena citato, che Wes mi sorprende, adottando uno stile sicuramente più cupo, e perché no violento, rispetto agli altri film della sua produzione. Ma sempre con un’ingenuità infantile che non può che far bene al film, come se lui stesso fosse sorpreso da quanto stia avvenendo, arrivando a riflettere anche su certe logiche autoritarie presenti in Europa in quel preciso periodo storico, vale a dire il 1932.



Diventa quindi un monito a tramandare storie, a raccontarle, perché le storie sono potenti, aiutano, danno speranza e insegnano sempre qualcosa. Quello che cerca di fare Anderson, che viene fatto passare per il regista pazzerello-hipsterino-mammamiachebeicolori-vuoto ma che al suo interno, nel suo Cinema, ha molto di più. Ed è un approccio, il suo, che emoziona con semplici cose: con un primo piano, con una canzone, con una frase che potremmo dire tutti senza per forza aver letto Così parlò Zarathustra in svedese e al contrario. In questo film più che mai, che può risultare sì minimale, ma comunque compatto e senza sbavature di sorta, che arriva a toccare corde inaspettate anche per la capacità di rendere la storia del Grand Budapest Hotel (da importante albergo di lusso ad alberguccio in decadimento) come la storia dei personaggi che lo hanno popolato o che comunque sono arrivati a un certo punto della loro vita convinti che l’esperienza in questo hotel sia stata la migliore della propria esistenza. Basti pensare al personaggio di Zero Moustafa, rifugiato politico che trova come maestro di lavoro e di vita Gustave H e al quale sarà sempre grato (per motivi che non sto qua a rivelare perché di mestiere non faccio lo spoileratore), ritornando sempre a discorsi inerenti alla solitudine e su quale sia lo scopo della nostra vita.



Da non sottovalutare poi le riflessioni sull’arte e sull’importanza della stessa, visto che un posto principale è riservato a questo quadro trafugato dal valore inestimabile (che avrà come conseguenza una scia di sangue generata dalla coppia Brody-Dafoe), come è inestimabile il valore del Cinema per Anderson, e che è evidente in questo film che consiglio sicuramente agli amanti di Anderson, perché non potranno non apprezzare questo film, più maturo a livello concettuale e visivo. Ma lo consiglio anche ai suoi detrattori proprio perché potranno trovare un qualcosa di diverso rispetto ai suoi film precedenti (spero), proprio per la maturità raggiunta sopracitata. Ma comunque sia Wes, non te la prendere, ci sarò sempre io a difenderti a spada tratta quindi puoi stare tranquillo e sereno. Digli poco.


Martin Scortese



  

lunedì 7 aprile 2014

NYMPH()MANIAC - VOL. I [DOPPIA RECENSIONE]



Regia: Lars Von Trier
Origine: Danimarca, Germania, Regno Unito, Belgio
Anno: 2013
Durata: 118'
Attori Protagonisti: 
Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Christian Slater


La prima parte di Nymphomaniac vede la nostra protagonista raccontare a uno sconosciuto la propria vita sessuale senza un particolare motivo. Lo sconosciuto è un vecchio senza morale che ascolta e spinge a riconsiderare le esperienze al limite di Joe non come frutto di una particolare cattiveria nei confronti dei maschi. Il problema morale Trier non lo sfiora neanche. Nel film si narra o si vorrebbe narrare la storia di una donna che non ha mai conosciuto alcun sentimento. Una donna che ha nel desiderio la risposta naturale a ogni avvenimento.


Il vecchio risponde sempre in modo distaccato, anzi sconnesso. Ogni vignetta è scandita da una considerazione completamente fuori binario. Parallelismi difficili da afferrare, tra la caccia ai maschi e la pesca, tra la complessità  dell'appagamento sessuale di Joe e il canone di Bach. Il film vive dei contrasti dei riferimenti. Si va da un'intellettualoide Melissa P alle voci fuori campo un po' porno un po' Godard. Dalla collezione di conquiste che fa molto Truffaut in L'uomo che amava le donne, alla scelta (non abbastanza netta purtroppo) della doppia attrice per unico personaggio che ricorda molto Quell'oscuro oggetto del desiderio. La banalità  scioccante della prima metà  si scontra con la pretesa filosofica della seconda. Entrambi i registri privi però di intensità  tale da creare un serio interesse, per quanto la ricerca dell'esperienza sessuale perfetta, quella in cui c'è l'amore, sia un tema degno d'esser esplorato. Trier preferisce esser ruffiano che cavare qualcosa dalla questione.


Il film va visto solo ed esclusivamente per la scena spartiacque della comparsa della Thurman. Così grottesca da sfiorare la parodia. Una moglie tradita che cerca di formalizzare il tradimento affrontando faccia a faccia un'amante che amante non è. Joe infatti è un'ingenua ninfomane che ha affidato le proprie relazioni al caso. Evitando di considerare gli altri come parte di un sistema di cause e conseguenze.


Isaia Panduri



Ora dovrei fare il poliziotto buono, giusto?

La trama è semplice, Maria Goretti viene trovata svenuta, sporca e tumefatta in un vicolo dal nostro prode Luciano Onder.
Maria Goretti tra una mosca e un rapala ci racconterà la sua vita con Dio dall'infanzia fino ai suoi 12anni.

Luciano preoccupatissimo per le condizioni di Maria Goretti

Se la trama fosse stata veramente questa, probabilmente si potrebbe parlare veramente di scandalo, Maria Goretti che racconta dei tentativi di stupro del giovane Alessandro, con Onder che la interrompe ogni tanto parlando dei numeri di Fibonacci e facendoli ricongiungere con il numero di ferite ricevute dalla giovane prima di morire.
Grandi emozioni, suspance, tutti sarebbero usciti contenti dal cinema, chi non vorrebbe vedere una 12enne alta 1 e 38, sottopeso e con la malaria, raccontare tutti i cazzi suoi a uno che presenta Medicina 33?

 
Joe al corso d'inglese della Wall Street English

Va beh torniamo alla trama seria, che di solito è la parte più noiosa di una recensione, Joe interpretata dalla “mah, non è bellissima ma due botte” Charlotte Gainsbourg, viene trovata svenuta sporca e tumefatta in un vicolo di una città misteriosa dal mezzo ebreo Selingman il bravissimo Stellan Skarsgård. Dal letto della camera di Selingman inizierà l'escalation sessuale di Joe, dall'infanzia fino ai suoi 50 anni.
All'inizio del film 3 cose mi hanno “sorpreso”, la prima: Partenza metal con i nostri amici Rammstein, che di video scabrosi se ne intendono.
La seconda: la metafora tra sesso e pesca, una cosa che non si può discutere del film è la sceneggiatura, personalmente impeccabile.
La terza: Lars tutti si aspettavano un film pieno di sesso e tu non gliel'hai dato o forse sono stati gli stronzi della censura a non darcelo, magari la versione originale è un continuo di scat, pissing, amputee, midget e potremo saperlo solo all'uscita del film per il mercato home video, però devo batterti il 5 per un semplice dialogo efficace, quando fai dire a Selingman di far parte di una famiglia antisionista e non antisemita, sei stato proprio un furbone, un faccia di merda come piacciono a me, sapeva tanto di un velato mea vulva, pardon mea culpa stile “raga su fb tra le persone che mi ispirano c'è Hitler, ma volevo farvi sapere che sono solo antisionista”.
Bravo così ci piaci.

Pugnetto che ricambio subito

Il film viene diviso in 5 capitoli:
1."The Compleat Angler"
2. "Mrs. H"
3. "Jerôme"
4. "Delirium"
5. "The Little Organ School"
 
Molta gente rimarrà delusa proprio per l'assenza di scene sessuali, ve le potrei pure elencare che tanto si contano sulle dita di una mano, però probabilmente vi toglierei la poca curiosità che già riponete su questo film. Da notare che non sia nemmeno il primo film di Von Trier con scene di sesso in presa diretta, il film Idioti del 1998 ha scene di penetrazioni e di sesso di gruppo (scene mancanti nella versione italiana, sia mai).

Sono sempre stato una schiappa nel disegno tecnico
 
 Alla fine dei conti si parla di buchi dell'anima e di orifizi umani che la protagonista tenta di riempire tutti nello stesso modo, circondandosi di uomini, facendo sesso senza godere mai fino in fondo, questo dovrebbe far riflettere le persone che si riempiono di persone e che riescono lo stesso a sentirsi soli, Joe è ninfomane, sa lei stessa di essere un pezzo distorto e malato della società,forse noi altri non riusciamo ad avere la sua stessa consapevolezza.
Il punto più alto della pellicola? Il capitolo 4 “Delirium”, toccante, pieno di emozioni, forse pure la parte più cruda del film e neanche riguarda il sesso. Lars mi ha tirato fuori da non so quale buco (per rimanere in tema) Christian Slater che interpreta il padre della giovane Joe, Stacy Martin, però lei è una “probabilmente la sposerei e ci farei figli”. Insieme al capitolo 5, le parti più alte del film per quanto mi riguarda.

Il punto più basso della pellicola? Il cazzo di Shia LaBeouf.

 
WTF

Forse non sarà un film che ricorderò tra 10 anni ma qualcosa me lo ha lasciato, troppo criticato in giro, tutto merito del troppo hype e della ottima campagna pubblicitaria, spacciare nel 2014 questo film come pornografico può solo far sorridere ma Lars ci offre più anima che corpo, per quanto l'anima rimanga celata e il corpo alla mercé di tutti.



Endrio Manicone



sabato 5 aprile 2014

STILL LIFE



Regia: Umberto Pasolini
Origine: Regno Unito, Italia
Anno: 2013
Durata: 87'
Attori Protagonisti: Eddie Marsan, Joanne Froggatt


Film uscito nelle sale nel 2013 per la regia del "nostro" Umberto Pasolini, è stato un piccolo caso della scorsa stagione cinematografica. La pellicola racconta la vita di un funzionario inglese incaricato di dare degna sepoltura ai defunti i cui parenti non riescono a essere rintracciati.


Il protagonista prende molto a cuore l'incarico scegliendo con molta cura sia la musica che l'elogio funebre in base alla storia delle vite dei morti che riesce a desumere dalle poche informazioni che ha. La sua esistenza è solitaria, malinconica è scandita da rituali ben precisi che la rendono triste come i funerali a cui lui è l'unico partecipante. Questo fino al finale sorprendente.


Ci troviamo di fronte a un'opera affascinante che affronta temi importanti come la solitudine, la morte le relazione interpersonali e la fa in maniera delicata con uno sguardo molto lieve, quasi sfuggente sui personaggi. Il protagonista è un magnifico Eddie Marsan, ancora una volta autore di una prova magistrale in cui mostra tutta la tristezza di un'esistenza grama e solitaria, ma anche la voglia di dare un ultimo saluto degno a persone che sono morte sole.


Siamo difronte a un'ottima prova corale, in cui nulla e fuori posto o minimamente sopra le righe. Ogni immagine, ogni battuta è misurata fino a uno splendido finale in cui il lavoro del funzionario trova finalmente un senso. Con questa "piccola" storia anche i cuori di pietra si possono sciogliere.




Pablo Lombardi

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