aprile 2015 ~ Ladri Di VHS

66° Berlin International Film Festival

A Berlino dall'11 al 21 Febbraio 2016.

69° Festival de Cannes

A Cannes dall'11 al 22 Maggio 2016.

73° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica

A Venezia dal 31 Agosto al 10 Settembre 2016

giovedì 23 aprile 2015

MIA MADRE


Regia: Nanni Moretti
Origine: Italia, Francia
Anno: 2015
Durata: 106'
Attori protagonisti: Margherita Buy, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, John Turturro

Che vi piaccia o meno, Nanni Moretti è tornato. E pure in grande spolvero. Il suo dodicesimo lungometraggio, in concorso a Cannes quest’anno insieme ai nuovi di Garrone e Sorrentino, è una bella spina nel fianco, in senso positivo ovviamente. Eh sì, perché Moretti è riuscito a tirar su probabilmente uno dei suoi film più belli e toccanti. Un film che ti rimane addosso, ti abbandona e poi torna prepotentemente a farti riflettere. Per dire, tornato a casa dopo essermi gustato questo film al cinema la prima cosa che ho fatto, automatica, è stata quella di parlarne con mia madre, per poi abbracciarla. È anche questa la magia del cinema. La pellicola è incentrata sulla figura di Margherita (interpretata da una bravissima Margherita Buy), una regista in crisi d’identità, a cui il destino pare accanirsi contro: le riprese del suo nuovo film non vanno a gonfie vele, ha appena interrotto una relazione amorosa, ma soprattutto apprende che la madre, già in condizioni fisiche non eccellenti, è sul punto di morire. Verrà sostenuta in questa esperienza dal fratello, interpretato da Nanni Moretti.


Il Nanni nazionale in questo film decide di sdoppiarsi, perché se è vero che dà corpo al fratello di Margherita, è anche vero che il suo reale alter ego sullo schermo sia proprio Margherita. Un taglio ancora una volta autobiografico adottato dal regista romano, che qui si trova a fare i conti con i fantasmi di una mamma scomparsa e che ha significato molto per lui. È però questo stratagemma dello sdoppiamento a funzionare e a dare linfa al film, quasi volesse fare il grillo parlante di sé stesso, seguendo la sorella, confortandola, aiutandola nella cura della madre. Tutto ciò all’interno di un’atmosfera che oscilla sempre, e mai in maniera pesante, tra passato e presente, tra ricordi e l’attuale realtà molto amara. Giulia Lazzarini, grande attrice di teatro, interpreta in maniera impeccabile il ruolo della madre, a cui si inizia a voler bene già dal primo frame. Una madre con un passato da insegnante di latino che ora si diletta a fare ripetizioni a sua nipote. Da qui nascono anche riflessioni, come ovvio che sia, su cosa accada dopo la morte, o meglio cosa accada al bagaglio di esperienze accumulate fino a quel momento, agli anni di insegnamento della madre, ai libri conservati. A cosa accadrà a lei, a Margherita. 


Molto interessanti sono anche considerazioni sul cinema stesso, sui problemi in cui può imbattere una troupe, tra luci che non soddisfano e un attore americano vulcanico e smemorato (interpretato da uno straripante John Turturro), ma anche lui con i suoi scheletri nell’armadio; ma soprattutto il problema dell’accondiscendenza a priori di cui è vittima un regista, che arriverà alla conclusione che “il regista è uno stronzo a cui voi permettete di fare ogni cosa”, con una Margherita sull'orlo di una crisi di nervi. Scusate se è poco. Dal punto di vista tecnico questa pellicola è una delle più curate della filmografia morettiana, con una bellissima fotografia e una regia che si adagia quasi con rispetto sull’argomento trattato, e si vede proprio che è un tema che Moretti sente molto e che lo ha segnato. La morte è un argomento che fu sviscerato dal regista già ne “La Stanza del figlio”, in questa nuova pellicola però più che la morte in sé è analizzata la preparazione alla scomparsa di una persona cara e quali sono gli effetti sulla vita di tutti i giorni.


Preparatevi anche a piangere con questo film, che ha il gran merito però di non cercare la lacrimuccia facile. La lacrima arriva sempre nei momenti più profondi, dove bastano poche parole per far capire cosa voglia dire non accettare una situazione del genere. Le lacrime arrivano soprattuto alla fine del film a coronare un film davvero bellissimo; subito dopo in sala c’è silenzio da parte degli altri spettatori, io sono il primo a uscire perché la virilità maschile forgiata a immagine e somiglianza di Vin Diesel impone che non sia molto macho farsi vedere con gli occhi gonfi in pubblico. Salgo sul mio motorino e automatico il mio pensiero rimbalza dal finale di “Mia madre” alla scena di “Aprile” in cui Moretti viaggia sopra la sua Vespa con un metro sulla mano destra e misura la vita che gli resta. Proprio perché sono due scene che mettono in luce due modi simili di affrontare la vita. Perché accanirsi contro il presente, stare male, soffrire quando c’è comunque quella flebile speranza che ci permette di buttare tutte queste cose dietro alle spalle? Quella speranza chiamata “domani”.


Martin Scortese

venerdì 10 aprile 2015

FURIOUS 7


Regia: James Wan
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 140'
Attori principali: Paul Walker, Vin Diesel, Michelle Rodriguez, Jordana Brewster, Dwayne Johnson, Ludacris, Tyrese Gibson, Jason Statham, Kurt Russell

Chi vi scrive è uno che tra i pochi DVD acquistati e custoditi gelosamente ha il primo capitolo della saga, di cui conosce tutte le battute a memoria, che quando pensa a “film d’azione” pensa a Point Break, non perché ormai viene citato ogni due minuti quando si parla di F&F ma perché “Oh ma come si chiamava il film quello là coi surfisti con le maschere” mio padre me lo chiede in media una volta l’anno dal ’94.



Partiamo col dire una cosa, i film della saga di F&F non sono film per tutti. In genere quest’espressione viene riservata per film particolarmente impegnativi ma in questo caso è l’esatto contrario. Se da piccolo non hai sognato di guidare una Supra arancione con improbabili adesivi sulle fiancate, il piccolo tamarro che è in te non lo risvegli nemmeno con un bazooka-spara-airmax. Se invece sei uno a cui l’odore dell’olio di ricino fa un effetto simile a quello delle madeleine su Proust rievocando motorini elaborati, macchine elaborate, monopattini elaborati, lavatrici elaborate... Allora è molto probabile che anche tu sia affezionato a questa saga.


Il settimo capitolo, come tutti sapevamo, sarebbe stato per forza di cose singolare: Paul Walker, l’attore protagonista-mai-protagonista dell’intera saga, è morto quasi due anni fa a bordo di una Carrera GT. Vedere quindi un film con l’idea fissa che il protagonista a un certo punto tirerà inevitabilmente le cuoia non è esattamente il massimo. Ti impone uno stato di tensione che normalmente il film non riuscirebbe a raggiungere neanche pregando in sanscrito. Sono comunque piuttosto felice per il fatto che Brian O’Conner abbandoni in maniera dignitosa il micromondo che l’ha visto protagonista-mai-protagonista per quattordici anni.


Dopo Rob Cohen, John Singleton e Justin Lin (per quattro volte di fila) è arrivato il turno di James Wan alla regia. Tutti indignati. Tutti indignati perché un regista giovane e bravo che ha tirato fuori roba interessante ha accettato di prendere una barcata di soldi per girare un film dal successo assicurato con un budget enorme. Eggià, proprio uno stronzo.


Il risultato è facilmente prevedibile. A ogni capitolo della saga, il livello di esagerazione è andato via via crescendo sempre di più. Lasciatemelo dire, questa volta non riuscirete neanche a immaginare quanto. La saga di F&F si è evoluta passo dopo passo, partendo da un “Point Break con le macchine” fino ad arrivare a una specie di The Avengers. I personaggi non sono più uomini, sono supereroi (ricordatevi ciò che sto dicendo ogni volta che inquadreranno Dwayne Johnson aka The Rock) e quando fai un film coi supereroi prendi la realtà, la accartocci, ci fai due palleggi e la butti nel cesso. Guardare Dominic Toretto attraversare tre grattacieli a bordo di una macchina da tre milioni di euro non è un’esagerazione inverosimile, è una cosa fottutamente divertente, punto. E The Rock che abbatte un drone dotato di lanciamissili è cosa buona e giusta.


Il film risulta tecnicamente ben girato, il ritmo è elevatissimo tanto che 140 minuti scorrono senza accorgersene e c’è la solita commistione di generi che è stata introdotta coi capitoli precedenti: si ride, ci si gasa, si tenta di far scendere la lacrimuccia. Inevitabilmente chi è cresciuto con questa saga finirà per farselo piacere indipendentemente da tutto, chi la odia a prescindere probabilmente non cambierà idea. Da un punto di vista globale Fast & Furious 7 è probabilmente secondo solo ed esclusivamente al primo capitolo della saga, di cui risulta essere la degna conclusione. È già in lavorazione un ottavo capitolo per questioni puramente legate al franchising ma come avrete modo di rendervi conto, questa è l’unica e vera fine e va benissimo così.




Ingmar Bèrghem

lunedì 6 aprile 2015

BLACKHAT


Regia: Michael Mann
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 133'
Attori protagonisti: Chris Hemsworth, Tang Wei

Il buon Michael Mann è tornato ed è riuscito a mettermi nella spiacevole condizione di non sapere bene come trattare il suo ultimo film. In patria è stato massacrato e per ora il punto di pareggio per i 70 milioni di dollari di budget sembra essere irraggiungibile, è anche vero però che la critica non fu tanto gentile neanche con Public Enemies, che dopo un inizio indeciso fece il botto. Ho come il sentore però che il miracolo questa volta non si verificherà.



Blackhat è un action-cyber-thriller molto verosimile sotto certi punti di vista e totalmente inconsistente sotto altri aspetti che ruota intorno a un complotto internazionale da parte di un hacker, contro il quale interverrà l’NSA insieme al governo cinese con qualche comparsata da parte dell’MI6. È in questo contesto che scende in campo Nicholas Hathaway, Thor per intenderci, un hacker finito al gabbio per un impiego non esattamente etico delle sue capacità informatiche. La proposta è semplice: tu ci aiuti a beccare il tizio che sta facendo questo casino e noi ti facciamo uscire.



Diciamo quindi che la storia si presta a essere piuttosto banalotta e a ricordare anche troppo malamente certi film d’azione degli anni ’80 o ’90 col protagonista ipercazzuto, fortissimo, intelligentissimo e che rimorchia pure con una discreta nonchalance, cosa che cozza abbastanza pesantemente con la figura dell’hacker. D’accordo, non sono i brufoli o gli occhiali a farti creare una backdoor ma lasciate che io sia scettico nel vedere un hacker alto, biondo, con gli occhi azzurri, col pettorale da 120 kg di panca piana.



Dal punto di vista tecnico c’è veramente poco da criticare, com’è anche normale aspettarsi. Mann sa dirigere, il film è montato bene e la fotografia è sicuramente il punto forte. La sceneggiatura però risulta un po’ debole e soprattutto la storia sa di “già visto”. Un aspetto sicuramente positivo è però l’attenzione ai tecnicismi. Scordatevi hacker che comandano il tostapane col cellulare o che necessitano di “più potenza” per trovare una breccia in un sistema particolarmente protetto. Questo film fortunatamente prende le distanze in maniera netta da film come Hackers (da vedere solo per la Jolie) dove sembra che un’intrusione di sistema sia un livello di Pacman. Da un punto di vista pratico tutto ciò che viene mostrato è realmente possibile. È lodevole inoltre che pur senza avere grande dimestichezza con l’argomento credo si riesca a seguire tutto abbastanza facilmente.



In conclusione, Blackhat non è assolutamente da buttare ma lascia quel brutto retrogusto di occasione sprecata. Mann è riuscito a fare un film molto attuale nelle tematiche, senza prendersi neanche tante licenze cinematografiche su aspetti estremamente tecnici e non esattamente semplici da trattare. Purtroppo però il risultato è un film d’azione come tanti altri in cui il protagonista sa programmare, maneggiare armi da fuoco, fare a botte e mille altre cose che lo porteranno sempre e comunque a salvare il mondo dal cattivo di turno.




Ingmar Bèrghem

Cerca nel sito