FOXCATCHER ~ Ladri Di VHS

martedì 31 marzo 2015

FOXCATCHER


Regia: Bennett Miller
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 134'
Attori protagonisti: Steve Carell, Channing Tatum, Mark Ruffalo

Uscito questo mese nelle sale italiane con grande ritardo, Foxcatcher è uno dei migliori film del 2014, vincitore del premio alla regia nell’ultima edizione del Festival di Cannes ma snobbato pesantemente agli ultimi Oscar, quando probabilmente avrebbe meritato più di una statuetta. Il film narra le vicende realmente avvenute che hanno coinvolto due fratelli campioni olimpici, Mark e Dave Schultz, e John E. du Pont, con un epilogo che non sto qui a svelarvi. In primis bisogna dire che Bennett Miller è in assoluto uno dei registi americani con più talento in circolazione, un talento già espresso nei suoi due film precedenti, ovvero “Capote” e “Moneyball”. In questa sua ultima fatica riesce a sublimare il suo stile e a renderci partecipe di una vicenda solo apparentemente distaccata da noi, grazie anche a un uso più che mai funzionale di campi lunghi a dir poco glaciali, oppure optando per immagini e movimenti di macchina che rendono i soggetti inquadrati sfuggenti.


La tensione che si percepisce in questa pellicola è tale che si ha l’impressione che un niente possa far precipitare la situazione. Un film di certo fastidioso, perché qui il tanto declamato sogno americano ha la parvenza di un vero e proprio incubo, di un morbo che si impossessa dei protagonisti senza più lasciarli e spremendoli fino all’ultima goccia di sudore o fino all’ultima parvenza di razionalità. Le prove dei tre attori sono spettacolari; Channing Tatum esprime al meglio, tramite la sua fisicità soprattutto, la foga agonistica nel cercare di riuscire in competizioni sportive, la voglia di sacrificarsi ma anche la ricerca di una figura di riferimento che possa guidarlo. Mark Ruffalo si riconferma tra gli attori più sottovalutati della sua generazione, interpretando un fratello troppo vicino ma anche troppo distante, facendo da ago della bilancia a una situazione, per l’appunto, sempre precaria. Ma da elogiare ovviamente è anche la prova di Steve Carell, che grazie anche a un trucco impeccabile, compie la metamorfosi nei panni di John E. du Pont, un personaggio che si insinua misteriosamente nelle vite dei due fratelli, alla ricerca in questo caso di una figura da ammaestrare e da formare a proprio piacimento. Miller si concentra sul rapporto tra questi tre personaggi in maniera impeccabile, mostrando fatica, sudore, cadute, infamie e una certa dose di morbosità repressa, ma anche la volontà di distaccarsi in maniera definitiva da un passato troppo invadente. Du Pont, nel quadro generale, rappresenta più di tutti la crisi dei valori americani dell’epoca, contraddistinta da una facciata rassicurante, pulita, ottimista ma che solo a confronto con altre realtà umane in difficoltà mostra il suo vero volto. E l’unico modo per tentare di attuare una sorta di catarsi è lottare, gli unici luoghi sacri sono la palestra e il ring. Si sfocia in scene in cui andare al tappeto ed essere sconfitti è il solo modo per tentare di reagire a una vita che sfugge sempre di più fra le mani, e non è un caso che Jake La Motta, ad esempio, si facesse picchiare brutalmente in alcuni incontri per la scarsa considerazione che aveva di sé.


È un’America nera e che fa fatica a riconoscersi quella che mette in scena Miller, senza troppi giri di parole, ma più che altro facendo parlare le immagini, gli sguardi, il tutto amalgamato con musiche ad hoc e una fotografia impeccabile, all’interno di una cornice desolata e desolante. Un’America che perde le coordinate e non riesce più a dare priorità alle cose importanti; la famiglia e gli affetti sono subordinati alla voglia di imporsi sportivamente, ed è qui invece che il personaggio interpretato da Ruffalo pare rappresentare un punto di rottura decisivo. Le scene di lotta sono girate con maestria assoluta, così come una delle scene clou in cui c’è semplicemente Channing Tatum che pedala al massimo su una cyclette, per poi arrivare alla parte finale dove le parole si fanno rarefatte perché nulla può essere più pensato. Si esce dalla visione di questo film con un senso di vuoto incredibile, spaesati e senza sapere dove andare a sbattere la testa, sia per la bellezza propria della pellicola che per l’epilogo della storia. Rimane solo il silenzio, nostro e dei protagonisti, a colmare uno dei film più disturbanti e in qualche modo fastidiosi della scorsa stagione cinematografica, e senza dubbio la pellicola migliore che Miller abbia fatto fino ad ora, sperando che possa continuare in questo percorso che, a questo punto, potrebbe regalare ancora molte soddisfazioni.


Martin Scortese


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