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domenica 28 settembre 2014

SIN CITY: A DAME TO KILL FOR


Regia: Robert Rodriguez, Frank Miller
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 102'
Attori protagonisti: Eva Green, Jessica Alba, Bruce Willis, Mickey Rourke, Jospeh Gordon-Lewitt

Il problema di Sin City: A Dame To Kill For è lo stesso di nove anni fa: ciò che funziona tra le pagine di un fumetto non è detto debba funzionare pure al cinema. Questo dibattito era molto interessante all'epoca del primo episodio, ogni stonatura era giustificata da un certo senso pionieristico del progetto. Anzi, questo problema di traduzione riempì di fascino il film. Divenne la vera essenza dell'opera. Nove anni dopo però, questo discorso ha ancora senso? Giusto per fare qualche esempio, ha senso la faccia triangolare di Marv, l'onnipresente voce fuori campo, che non rappresenta neanche una scorciatoia (come Charlie Kaufman insegna) ma solo una mera scelta di imitazione inutile ai fini della narrazione? Ha senso visivamente lasciare all'ombra di un personaggio il compito di uccidere qualcuno o cambiar colore di cose e persone un po' a caso, facendoci interrogare inutilmente sul perché?



Per neanche un attimo il film sembra “sperimentare” o fare ricerca. L'ultimo lavoro di Rodriguez piuttosto vomita l'originale e personale idea di noir dell'opera di Frank Miller. Andando oltre il remake e sfiorando la parodia.


Ovviamente questo non è il vero problema di Sin City 2. Il film del 2005 era convincente su tutti i fronti, non solo su quello della realizzazione tecnica di quella fantastica idea. Era avvincente e dinamico. Crudo, ironico. Sapeva esser pulp ma anche sexy. Il tutto con questo noir che alza il livello. Da film d'azione (o sperimentale) a opera d'arte completa.


La recensione potrebbe finire qua dicendo che tutto questo ora non c'è. Ogni personaggio è di carta nel peggiore dei sensi. Tutto è piatto e le parole a tratti ingombranti non aggiungono nulla in termini di caratterizzazione dei personaggi o di coinvolgimento emotivo. Tutto vuole ricordarci che stiamo guardando un fumetto anche se per assurdo i momenti più alti sono quelli in cui questa aspirazione viene meno, in certi rallenty che accompagnano i punti di maggiore pathos di molte scene e nella musica presente senza sosta per tutta la durata del film. Nonostante ciò non stiamo parlando di un disastro, ma solamente di una grande idea che una volta sdoganata avrebbe potuto fare dei passi avanti (magari dal punto di vista della sceneggiatura) anziché molti indietro.





Isaia Panduri

sabato 20 settembre 2014

SENZA NESSUNA PIETÀ


Regia: Michele Alhaique
Origine: Italia
Anno: 2014
Durata: 95'
Attori protagonisti: Piefrancesco Favino, Greta Scarano, Claudio Gioè, Ninetto Davoli

 "Senza Nessuna Pietà" è l'esordio alla regia del romano Michele Alhaique che abbandonati i panni di attore e con alle spalle qualche esperienza nei cortometraggi, decide di mettersi dietro la macchina da presa per cimentarsi nella sua prima opera cinematografica. In questa avventura si avvale della collaborazione di un caro amico, nonché di uno degli attori di punta del panorama italiano odierno che risponde al nome di Pierfrancesco Favino, il quale aderendo al progetto decide di entrare nella doppia veste di protagonista e produttore.


Il plot è di quelli tipici: Mimmo (Pierfrancesco Favino) è un muratore alle dipendenze dello Zio (Ninetto Davoli), quest'ultimo oltre all'impresa edilizia raccimola denaro elargendo soldi a strozzo e usando Mimmo e il "Roscio" (Claudio Gioé) come esattori. A stravolgere questa routine è l'arrivo di una sexy Greta Scarano nei panni di Tanya, prostituta arrivata a Roma e alla quale Mimmo dovrà fare da tassista per un giorno, per poi portarla ad un incontro con Manuel (Adriano Giannini), cugino violento di Mimmo nonché figlio dello Zio. Il resto del racconto non è difficile da immaginare. Chiaro è che l'impianto narrativo non propone novità al genere, tutt'altro la storia si basa su elementi classici del noir ma questo non è necessariamente un difetto, anzi è una costante nel mondo cinematografico quella di recuperare elementi classici nel genere per poi plasmarli in qualcosa che almeno nelle intenzioni possa essere personale, a dimostrazione di questo basta pensare a titoli recenti come "Salvo" (Piazza e Grassadonia) e "Bittersweet Life" (Kim Ji-Woon) che hanno alla base un plot grosso modo identico a quello appena descritto.


Alhaique recupera quindi gli archetipi del cinema melvilliano e ne riesuma il medesimo protagonista dall'atteggiamento silenzioso e imperscrutabile, declinato qui in una dimensione inedita dall'animo timidamente infantile e bisogna dirlo Favino fa un ottimo mestiere negli sguardi e nelle espressioni che trovano a coprire l'assenza di dialoghi senza risultare un limite o una forzatura. Lui assieme a tutto il resto del cast stupisce per bravura e affiatamento, come la fatale Greta Scarano vera sorpresa inaspettata e un Claudio Gioé che conferma le sue doti di attore poliedrico, dando vita a quello che è in assoluto il personaggio più disturbante di tutta l'opera. Da segnalare un bravo Giannini in un ruolo breve ma misurato e una nota di ammonimento tocca a Davoli che sul finale non convince e in quel singolo passaggio crea una falla piuttosto grave che mina buona parte del risultato finale, conseguenza forse anche imputabile ad uno scambio di battute non proprio centrato in fase di scrittura. A livello tecnico il regista romano si può dire abbia buon occhio per l'inquadratura e dimostra di saperci fare anche in alcuni movimenti azzeccati con la macchina da presa, risultando però eccessivo nell'insistenza dell'uso dei primi piani che sì, scavano nella mimica dei suoi attori e hanno il raro pregio di non sprofondare nel televisivo, ma finiscono col soffocare l'ambiente dove questi interagiscono.


Va detto che il ritmo dell'opera è piuttosto blando nel suo svolgimento, non che ci si ritrovi mai ad essere in preda alla noia ma nella sua commistione di crime e melò, più volte troviamo che il dosaggio dei generi vada a toccare le corde di quest'ultimo a sfavore del primo, il che non è da considerarsi necessariamente un errore ma avendo tali elementi a disposizione sarebbe stato saggio sfruttare qualche componente d'azione che potesse fornire maggiore andamento al tutto. Impossibile parlare di "Senza Nessuna Pietà" senza menzionare una fotografia che fa un uso della scala cromatica veramente strabiliante, evidenziando sfumature e facendo un lavoro certosino su tutto quello che riguarda l'uso del colore, lavoro ad opera di un Ivan Casalgrandi che lascia trasparire le sue evidenti abilità in merito. Ottimo anche l'operato svolto su musica e suono che adornano con la giusta grazia lo scorrere delle immagini.


Tirando le somme abbiamo un prodotto incompleto, con qua e là qualche caduta di stile facilmente evitabile, dove tra pregi e difetti ci si ritrova comunque uniti nell'avventura del suo protagonista e che, nonostante gli evidenti limiti prima elencati, riesce a lasciare qualcosa nell'animo dello spettatore, risultato che delle volte opere più solide non vantano. Merita una chance e chissà che il suo regista in futuro non ci regali qualche sorpresa.


Gianluchino Godhard






venerdì 19 settembre 2014

MUD


Regia: Jeff Nichols
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 130’
Attori protagonisti: Matthew McConaughey, Reese Witherspoon, Tye Sheridan

Due ragazzini dell'Arkansas fanno la conoscenza di Mud, un uomo ricercato per omicidio nascosto in un'isola raggiungibile solo tramite barca. I due scelgono di aiutare Mud nella fuga. L'amicizia col fuggitivo però sembra spostare di pochissimo gli equilibri delle vite di Ellis e Neckbone. I due sono già occupatissimi a vivere la loro adolescenza. Periodo delicato per tutti ma ancora di più per due ragazzi con problemi familiari che vivono ai margini della civiltà. Civiltà con la quale la loro estrema ingenuità deve fare i conti. 


Mud è un film sulla crescita, i nostri eroi devono tornare a casa alla fine della storia cambiati in meglio. Più maturi. Questo cambiamento non avviene però grazie a Mud. Nichols che ha anche scritto il film, molto intelligentemente non crea il classico adulto chiamato temporaneamente a fare le veci di padre o fratello maggiore. Il personaggio interpretato da McConaughey è piuttosto incasinato. È un uomo che non riesce a crescere, che non sa impegnarsi. È uno che proprio come Ellis risolve tutto facendo a botte. Nichols non fa di Mud un esempio da seguire. 


Il film ha la sua importanza perché questa storia di violenza quasi western è il pretesto per inscenare ben altri traumi. I veri sconvolgimenti sono causati dalla consapevolezza che nella vita spesso l'amore non basta. Scoprono la complessità di questo sentimento, scoprono quanto sia difficile capire le donne e quanto purtroppo spesso a poco serve interrogarsi su certi argomenti. Perché tanto qualcosa viene sempre a rovinare tutto.


Nichols oltre a essere un abile regista è anche un fine scrittore. I personaggi sfidano tutti i luoghi comuni di certo cinema per ragazzi. Proprio come Coppola, Malick, e perché no, Spielberg ci parla di ragazzi che devono ancora imparare come si vive e come si soffre, che vedono gli adulti come un intralcio e le donne come esseri difficili da interpretare. Adolescenti che hanno però una saggezza che solo la vita selvaggia può regalarti. Le immagini poi rivelano un regista innamorato della natura selvaggia così come della natura delle cose umane.





Isaia Panduri

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